Le sezioni Unite della Corte di Cassazione fanno chiarezza sull’imposta obbligatoria per le imprese e stabiliscono che la medicina di gruppo, in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, non è assimilabile all’associazione tra professionisti: essa non è impresa (anche sa ha una segreteria) e, dunque, non sconta il pagamento dell’IRAP.

A cura dell’Avv. Salvatore Russo

La vicenda trae origine dalla decisione della Commissione Tributaria Regionale del Veneto che aveva accolto l’appello di un medico di medicina generale, convenzionato con il servizio sanitario nazionale, riconoscendogli il diritto al rimborso dell’imposta regionale sulle attività produttive per gli anni 2004, 2005 e 2006 in relazione al reddito conseguito per l’attività di medico chirurgo in medicina di gruppo.

L’organo giudiziario aveva, infatti, stabilito che la medicina di gruppo non fosse assimilabile all’associazione fra professionisti e che la spesa sostenuta per la collaborazione di terzi (la quota per il servizio di segreteria telefonica e per prestazioni infermieristiche) era di tale modesta entità al punto da non essere idonea ad integrare il requisito dell’autonoma organizzazione postulata dalle norme impositive.

La convenuta Agenzia delle Entrate propose, nei confronti della sentenza menzionata, ricorso per cassazione, censurando la decisione della Commissione Regionale per aver escluso la sussistenza dell’autonoma organizzazione nello svolgimento dell’attività di medico di medicina generale, convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale, che si sarebbe avvalso in modo non occasionale di lavoro altrui, e per averla esclusa nell’attività di medicina di gruppo, ex art. 8 d. lgs. n. 502 del 1992, costituente una “forma associativa che si configura e si sovrappone alla associazione professionale vera e propria”, laddove invece “l’esercizio della professione liberale in forma associata costituirebbe elemento di per sé sufficiente per la sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione ai fini dell’applicazione dell’IRAP”.

Orbene, ai fini del decidere, le Sezioni Unite hanno preliminarmente osservato come il presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive sia l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio ovvero alla prestazione di servizi; tuttavia, osserva ancora il Collegio, quando l’attività è esercitata dalle società e dagli enti che siano soggetti passivi dell’imposta (comprese le società semplici e le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni di cui al d.p.r. 917/1986), essa, in quanto esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costituisce ex lege, in ogni caso, presupposto d’imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell’autonoma organizzazione.

Fatte tali premesse, i Giudici nel caso di specie non hanno ravvisato i tratti dell’associazione fra professionisti cui si riferisce la norma del tuir del 1986 nella figura della “forma associativa” della medicina di gruppo, essendo questo, piuttosto, un organismo promosso da Servizio Sanitario Nazionale, diretto a realizzare più avanzate forme di presidio della salute pubblica mercé l’impiego di risorse, anzitutto professionali, ma non solo, del personale medico e rapporto convenzionale.

Già la Legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale -L. 883/1978- lasciava agli accordi collettivi nazionali la previsione di “forme di collaborazione tra i medici, il lavoro medico di gruppo e integrato nelle strutture sanitarie e la partecipazione dei medici a programmi di prevenzione e di educazione sanitaria”.

Il d.p.r. n. 270/2000 all’art. 40 aveva stabilito che, al fine di realizzare una pluralità di obiettivi diretti alla piena realizzazione del Servizio, i medici di medica generale possono concordare tra loro e realizzare forme di lavoro associativo, secondo principi, tipologie e modalità stabilite. Sono, infatti, previste “forme associative, che costituiscono modalità organizzative del lavoro e di condivisione funzionale delle strutture di più professionisti, per sviluppare e migliorare le potenzialità assistenziali di ciascuno di essi”. Di tali forme associative, al comma 9 è regolata in particolare la medicina di gruppo, con un numero di medici non superiore ad otto, la quale si caratterizza, fra l’altro, per l’utilizzo dell’attività assistenziale di supporto tecnologico e strumentali comuni, anche eventualmente di spazi predestinati comuni, e per “l’utilizzo, da parte dei componenti il gruppo, di eventuale personale di segreteria o infermieristico comune, secondo un accordo interno”.

Una volta escluso che l’attività della medicina di gruppo sia riconducibile ad uno dei tipi di società o enti di cui al d. Lgs n. 446/1997 e che quindi costituisca ex lege presupposto d’imposta, secondo il Collegio il giudice di merito non sarebbe incorso nell’errore addebitato. La sentenza impugnata, infatti, aveva accertato che la spesa per la collaborazione di terzi è risultata nella specie “di modesta e contenuta entità”, e che “essa non vale a caratterizzare una autonoma organizzazione, postulata dalle norme impositive, ma piuttosto è la risultante minima ed indispensabile della necessità di assicurare un servizio di segreteria telefonica ed alcune prestazioni infermieristiche”. La Commissione Regionale ha rilevato, altresì, che nella medicina di gruppo, il gruppo provvede pro quota per ciascun medico alle spese comuni (affitto dei locali, manutenzione, retribuzione dell’infermiere e della segretaria), mentre le spese inerenti il singolo ambulatorio e la singola attività di ciascun medico sono sostenute direttamente e per intero dal sanitario interessato.

I Giudici della Suprema Corte affermano come già la stessa Corte abbia da tempo chiarito che con riguardo all’IRAP, la disponibilità, da parte dei medici di medicina generale convenzionati con il S.S.N., di uno studio, avente le caratteristiche e dotato delle attrezzature indicate nell’art. 22 dell’Accordo Collettivo Nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, reso esecutivo con d.p.r. n. 270/2000, rientrando nell’ambito del “minimo indispensabile” per l’esercizio dell’attività professionale, ed essendo obbligatoria ai fini dell’instaurazione e del mantenimento del rapporto convenzionale, non integra di per sé, in assenza di personale dipendente, il requisito dell’autonoma organizzazione ai fini del presupposto impositivo (cfr. Cass. 10240/2010, n. 1158/2012).

Il Collegio ha ritenuto che analoghe considerazioni debbano essere svolte in relazione alle spese costituenti la quota per il “personale di segreteria o infermieristico comune”, il cui utilizzo è previsto per lo svolgimento dell’attività di medicina di gruppo dall’art. 40, comma 9, lettera d), del citato Accordo Collettivo, reso esecutivo dal d.p.r. n. 270/2000.

Per tutte queste motivazioni, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha rigettato il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate.

Pubblicato da Altalex il 02 maggio 2016

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